L’estetica del lavoro?


Qualche sera fa stavo arrivando a casa, moderatamente stanco dal lavoro, quando una frase mi ha fatto sussultare; un ragazzo stava dicendo al telefono “faccio cose senza senso per lavoro, ma mi pagano.” Cosa ha di inquietante questa piccola frase? L’universalità. Io la posso pronunciare, tu la puoi pronunciare, il tuo vicino (che frigge alle 23 i platanos, impestandoti la camera da letto mentre stai per coricarti) la può fare sua. Chiunque sia in età lavorativa (o scolare) è, in qualche modo, preda di un sistema che rischia di stritolare come un boa constrictor. “L’estetica del lavoro è lo spettacolo della merce umana”, sillabava un angosciante Stratos. E intanto rimiriamo le piramidi o le statue dell’isola di Pasqua, frutto di un lavoro ancora più insensato, febbrile, financo mortale, e a bocca aperta cadiamo nell’ennesimo cortocircuito. Ma, forse, chi ha costruito pensando agli dei e all’infinito ha qualche speranza in più di lasciare un segno di chi vive in un eterno presente.

 

(scritto su un computer prodotto da cinesi)

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