Dieci dischi importanti

you

Importanti per me, ovviamente. Tutto è soggettivo, e ognuno di questi ha un posticino nella mia piccola storia personale. Il giochino gira da un po’ su Facebook, ma non ho la costanza per postarne uno al giorno… per cui eccone qui dieci (più uno) tutti insieme.

dEUS – worst case scenario

1994: avevo 18 anni e li scoprii tramite mtv. Scrivevano belle canzoni e le condivano con arrangiamenti sghembi. Campionavano Zappa. Venivano dal Belgio. Li vidi in concerto un paio di anni dopo. Consumai il disco e tuttora ne faccio uso piuttosto frequente. Hotel lounge è un mezzo capolavoro.

Robert Wyatt – rock bottom

Un disco bellissimo e tristissimo, dolce, ironico, inscindibile dalla storia personale di Wyatt e dalle sue tragedie personali. Mi è rimasto in mente il momento preciso in cui ho ascoltato per la prima volta sea song, con la sua melodia eterea a punteggiare le parole terrene.

King Crimson – islands

islands

islands

Scegliere un solo disco del Re Cremisi è un’impresa. Un amico diceva che è un disco che va ascoltato una volta all’anno e non di più, perché troppa bellezza stordisce. Io mi concedo questo piacere più spesso, e amo ricordarmi come un’isola abbia cambiato la mia vita.

Guns n’ Roses – appetite for destruction

Scoperti alle superiori, visti nel 1992 a Modena, sono stati una colonna sonora continua di quegli anni. Un baraccone chiassoso (con il tè freddo al posto del Jack Daniel’s), retto da una manciata di riff diretti e riusciti. Non lo riascolto quasi più, ma ricordo bene l’intro bassistica di Sweet Child O’ Mine su cui sudai non poco.

Yes – fragile

Disco imperfetto e altalenante, con il mio batterista preferito e il bassista rock più presente di sempre. Grandissimi pezzi, non ancora soffocati dalla tendenza a strafare che li renderà emblematici nel bene e nel male.

Gong – you

you

you

La chiusura della trilogia della radio gnome invisible; tantissimi ingredienti: viaggi, nello spazio e nella mente, jazz-rock, Daevid Allen, il riff di Master Builder, Steve Hillage in forma stratosferica, e la fine del viaggio di Zero The Hero alla ricerca della consapevolezza.

Pink Floyd – a saucerful of secrets

Ho cominciato a suonare con money, ho scoperto i Floyd in ordine sparso e per anni ho tenuto una cassetta con more e a saucerful of secrets nel walkman; la ascoltavo costantemente durante le vacanze inglesi. Disco di transizione, coraggioso, confuso, con momenti altissimi (come la title-track). Il disco perfetto dei Floyd non esiste.

Van der Graaf Generator – pawn hearts

Gli abissi della mente, ma anche spiragli di luce violenta. Testi profondi, recitati con intensità da un immenso Peter Hammill, circondato dal magma sonoro avvolgente di Banton, Jackson, Evans e… Fripp.

Miles Davis – in a silent way

Il primo disco del Miles elettrico che abbia ascoltato; Miles era un geniale despota che lasciava piena libertà ai suoi musicisti, e su questa contraddizione faceva viaggiare un gruppo capace di infinite improvvisazioni modali e di improvvisi squarci melodici, che poi su disco venivano abilmente tagliuzzate da Teo Macero.

The Beatles – Abbey road

L’ultima volta che ho riascoltato le mie linee di basso, mi sono reso conto che basterebbe Abbey Road per ricapitolarle tutte: something, come together, she came in through the bathroom window… per non parlare della meravigliosa suite finale.

Fungus – careful!

L’undicesimo di dieci: la prima volta in cui mi sono reso conto che pubblicare un disco fosse un traguardo raggiungibile. Sono ancora fiero del risultato, frutto di incoscienza e lavoro matto (ma non proprio disperatissimo)

Lascia un commento